COME NASCE UNA PROTESI OCULARE

Come nasce una Protesi oculare?

 

Prima di descrivere le fasi della costruzione di una protesi oculare, ricordiamo che lo scopo dell’applicazione protesica non è solo la copertura o la sostituzione del bulbo ma anche la mobilità della protesi e la conservazione della funzionalità palpebrale e più in generale il ripristino di una condizione psicologica adeguata dopo il trauma della menomazione.

L’applicazione protesica è concepita per ottenere questi risultati nel tempo, contrastando la perdita di elasticità dei tessuti dovuta all’invecchiamento. La resina acrilica (PMMA) permette di adattare e modificare la forma della protesi più volte e senza limitazioni se non quelle dovute alla gravità della menomazione subita. Da un punto di vista strettamente morfologico, gli obiettivi dell’applicazione protesica sono:

 

  • Mantenimento del volume della cavità anoftalmica
  • Riduzione dell’enoftalmo (solco tarsale superiore)
  • Ripristino dell’escursione e dei movimenti palpebrali

Il modello in cera

Dopo avere rilevato i parametri della cavità anoftalmica si passa alla prima fase della costruzione della protesi: il modello in cera, che viene ottenuto apportando le modifiche al modello di base in resina mediante cera rossa per modelli, riscaldata e modellata manualmente fino ad ottenere la forma desiderata.

Lo stampo in gesso

Dopo avere ottenuto la forma definitiva del modello ed averlo perfettamente levigato in modo da asportare qualsiasi irregolarità superficiale, si prepara il gesso liquido che servirà per il confezionamento dello stampo. Il gesso è una miscela speciale per stampi medicali, senza impurità e costituita da milioni di microgranuli delle stesse dimensioni per evitare la formazione di bolle d’aria ed irregolarità. Dopo aver effettuato la colata del gesso nello stampo si procede alla sua vibrazione meccanica per un tempo prestabilito per favorire la fuoriuscita di eventuali bolle d’aria.

L’inzeppamento della resina bianca

Realizzato lo stampo in gesso che riproduce la forma della protesi che vogliamo ottenere, è necessario preparare la resina acrilica che riempirà lo stampo: questa operazione è definita “inzeppamento” e consiste nella miscelazione del polimero in polvere e del monomero liquido in proporzioni assolutamente precise. Un errore di miscelazione potrebbe provocare la parziale polimerizzazione della protesi e di conseguenza una qualità fisico-chimica scadente.

La forma bianca

Il procedimento per ottenere la prima protesi della forma desiderata è semplice ma anche molto delicato: la resina appena inzeppata, una volta raggiunto il grado di indurimento ottimale, viene collocata nello stampo in gesso fino ad occupare ogni sua parte, poi lo stampo viene isolato e la muffola richiusa e serrata per un tempo e con una pressione precisi e prestabiliti.

La polimerizzazione

Il processo termico di polimerizzazione consiste nell’immersione del complesso muffola-stampo-resina in uno speciale recipiente a pressione pieno d’acqua che viene portato a temperatura e pressione molto elevate, per un tempo prestabilito (alcune ore). La resina acrilica dopo questo trattamento muta le sue caratteristiche chimiche perdendo la tipica consistenza pastosa ed assumendo una durezza simile a quella del vetro, mantenendo però un’elevatissima resistenza meccanica ed infrangibilità. Se la polimerizzazione è eseguita correttamente, il metacrilato  libera in atmosfera tutte le sostanze potenzialmente irritanti e diviene totalmente inerte e biocompatibile, evitando così qualsiasi rischio di sensibilizzazione dei tessuti o allergia da contatto.

La finitura della forma bianca e la pigmentazione

Dopo avere estratto la muffola dal polimerizzatore, la forma bianca viene liberata dalle scorie di lavorazione e lucidata perfettamente. Solo quando la sua superficie è perfetta viene pigmentata mediante stesura a pennello dei colori vegetali, controllando ogni sfumatura dell’iride e della sclera sul sistema fotografico centralizzato che conserva le immagini fotografiche di tutte le applicazioni di ogni paziente.

Il completamento con resina trasparente e la seconda polimerizzazione

La forma bianca appena pigmentata viene asciugata in aria atmosferica e successivamente deve essere ricoperta con uno strato di metacrilato trasparente, con un procedimento simile a quello iniziale della forma bianca. La resina trasparente viene perciò accuratamente distribuita all’interno dello stampo dove è già alloggiata la forma bianca e nuovamente polimerizzata con tempi e pressione modificati per ottenere una superficie perfettamente trasparente, priva di impurità ed opacità.

La finitura della protesi e la lucidatura definitiva

Terminata la polimerizzazione della resina trasparente la protesi ha ormai assunto la sua forma definitiva e da questo momento inizia il processo di finitura e di lucidatura finale. La finitura è ottenuta per levigatura della superficie con micro-frese con granulometria sempre più fine fino ad ottenere una superficie perfettamente levigata e priva di imperfezioni. Al termine di questa operazione viene effettuata la lucidatura a specchio delle superfici interna, esterna e del bordo che devono avere una levigatezza ed un aspetto uniformi e senza graffi, simili al vetro. La presenza di graffi, incisioni, scalfitture o altre piccole irregolarità diventerebbe presto sede ideale per l’accumulo di colonie batteriche pericolose per la salute del paziente e per la tollerabilità della protesi.

La disinfezione e decontaminazione

della protesi finita

Terminato il processo costruttivo, la protesi oculare deve essere sterilizzata prima di essere applicata sul paziente. Si immerge la protesi in un bagno contenente una percentuale di “ossigeno attivo” (acido peracetico), una sostanza idrosolubile ad alto potere germicida, indicata per la decontaminazione e disinfezione di alto livello di dispositivi medico-chirurgici in ambito ospedaliero, ambulatori medici ed odontoiatrici.

Il preparato viene attivato tramite un agitatore ultrasonico ed espleta le seguenti funzioni:

1. Disinfettante ad ampio spettro d’azione ed a rapida efficacia

2. Disgregante di materiale macromolecolare proteico, lipidico e glucidico depositato spesso sulla superficie dei dispositivi medico-chirurgici

3. Detergente

Terminato il ciclo di sterilizzazione, la protesi oculare è pronta per essere applicata sul paziente.

Guscio base

Come nasce un Guscio cosmetico?

 

Prima di descrivere la nascita  di un guscio cosmetico, ricordiamo che lo scopo dell’applicazione protesica non è solo la copertura del bulbo ma anche la mobilità del guscio, la conservazione della funzionalità palpebrale e più in generale il ripristino di una condizione psicologica adeguata dopo il trauma della menomazione.

Il guscio cosmetico visto di fronte è simile ad una protesi oculare ma se lo si osserva di profilo appare chiaro che si tratta di una lente a contatto sclero-corneale: il suo diametro infatti è di circa 22 mm. Il guscio cosmetico è realizzato mediante tornitura e lappatura di precisione, cioè con apparecchiature normalmente utilizzate per la produzione di lenti a contatto rigide, dovendo essere applicato su un bulbo che possiede ancora una residua sensibilità, un metabolismo e movimenti propri. Nei casi in cui il bulbo presenti un residuo di funzionalità visiva, il guscio sclerale cosmetico può essere realizzato con la pupilla trasparente di potere neutro oppure con un potere diottrico per permettere la visione, sfruttando il principio del foro stenopeico.

Lo spessore del guscio cosmetico viene progettato in relazione al volume del bulbo: se questo ha dimensioni normali può arrivare anche a pochi decimi di millimetro mentre nei casi di grave subatrofia o microftalmo severo, lo spessore nel centro del guscio può arrivare anche ad alcuni millimetri. In ogni caso la resina acrilica (PMMA) permette di adattare e modificare lo spessore e la forma del guscio più volte e senza limitazioni se non quelle dovute alla gravità della menomazione subita. Le indicazioni tipiche di questa applicazione protesica sono:

 

  • Atrofia post-traumatica del bulbo
  • Ferita corneo-sclerale
  • Microftalmo congenito o ipoplasia congenita (anche con residuo visivo)
  • Microftalmo per esiti di Retinopatia del prematuro
  • Eviscerazione del bulbo con impianto
  • Odontocheratoprotesi

L’applicazione viene effettuata con il metodo della lente a contatto “matrice” e si sviluppa in tre fasi:

Realizzazione di un guscio sclerale trasparente in PMMA di spessore inversamente proporzionale al diametro del bulbo che funge da “matrice” per le successive rilevazioni. La lente matrice è ottenuta da uno sbozzo di metacrilato trasparente che viene lavorato al tornio automatico per contattologia fino ad ottenere le curvature desiderate e lucidato per mezzo di un lappatore ottico.

Controllo del guscio trasparente sul bulbo con esame in fluoresceina, un liquido di contrasto assolutamente inerte ed indolore che viene collocato in minima quantità, tramite una strip monouso nel fornice della palpebra inferiore o direttamente sul guscio, mescolandosi alle lacrime. Viene poi illuminato con una lampada di Wood per mettere in risalto le zone di contatto della lente sul bulbo e le vie di deflusso del liquido lacrimale dalla camera corneale verso l’esterno.

Sulla base dell’esame in fluoresceina si apportano al guscio trasparente le modifiche di curvatura necessarie per ottenere il profilo più idoneo per il bulbo, poi si realizza una protesi a guscio cosmetica con le stesse curvature della lente matrice ma pigmentata in ogni sua parte, come una vera e propria protesi oculare. La tollerabilità ed il risultato estetico del guscio cosmetico ottenuti con questo metodo, sono quasi sempre molto soddisfacenti e comunque sempre migliori di quelli ottenibili con il vecchio metodo dell’impronta o calco del bulbo.

Caratteristiche costruttive del Guscio cosmetico

 

 

Appoggio sclerale: il guscio appoggia sulla sclera, la parte bianca dell’occhio che è poco sensibile. In questo modo il guscio viene trattenuto dalle palpebre e segue il movimento del bulbo.

 

Camera corneale: la superficie interna del guscio non ha una curvatura unica ma nel centro ne ha un’altra che funziona come una camera di protezione ed evita che il guscio entri in contatto con la cornea. In questo modo il film lacrimale ossigena costantemente la cornea ed evita irritazione ed arrossamento della congiuntiva ed abrasioni dell’epitelio.

 

Fori antiventosa: sono piccoli fori passanti, calibrati ed invisibili che consentono il passaggio dell’aria ed impediscono il formarsi del cosiddetto “effetto ventosa” che può provocare sofferenza corneale per scarsa ossigenazione, compromettendo la tollerabilità del guscio.

 

Decentramento corneale: è necessario nei bulbi con cornea non ortoforica (deviata lateralmente, in alto o in basso) e consiste nel decentramento della curvatura interna nella stessa posizione in cui si trova la cornea naturale. L’iride dipinta esternamente sul guscio, invece, rimane perfettamente centrata.

I gusci cosmetici sono tecnologicamente simili alle lenti a contatto e sono realizzati con attrezzatura e strumentazione per contattologia.

Le lavorazioni ottiche delle curvature interne ed esterne sono ottenute mediante lappatura tangenziale, sferica o eccentrica in base alla geometria del profilo del guscio.

Epitesi11

Cos’è e come nasce un’Epitesi?

 

L’epitesi è una protesi facciale realizzata in silicone medicale ed ha come obiettivo la sostituzione di grandi parti del viso come l’orbita (occhio completo delle palpebre), il padiglione auricolare, la piramide nasale esterna od altre parti del distretto testa-collo. Viene costruita ed applicata nella riabilitazione protesica dopo interventi chirurgici demolitivi come l’Exenteratio orbitae, la resezione chirurgica della piramide nasale esterna, del padiglione auricolare o di altre parti del volto o ancora per cause congenite o traumatiche.

Oltre che per l’aspetto estetico l’applicazione di epitesi in diversi casi migliora la funzionalità di attività vitali quali la respirazione, la masticazione e la fonazione (spesso la presenza di una ricostruzione del palato duro consente al paziente di riprendere a parlare, cosa altrimenti impossibile). Da non sottovalutare l’importante impatto psicologico positivo per il paziente: chi ha subito una vasta demolizione del volto ha sempre anche un importante deficit nella qualità della vita quotidiana e l’applicazione di epitesi rappresenta una valida soluzione anche in questo senso. I materiali oggi più utilizzati per la costruzione di un’epitesi sono la resina acrilica ed il silicone medicale.

ORBITA (2)

Exenteratio Orbitae

PIRAMIDE NASALE (14)

Resezione della Piramide nasale

   Quando l’epitesi è una scelta obbligata?

 

  • Quando la chirurgia plastica ricostruttiva non è più praticabile
  • Quando le condizioni di salute del paziente non sono più idonee per essere sottoposto ad un intervento
  • Quando esiste un fondato sospetto di recidive tumorali
  • Quando il paziente ha subito radioterapia con conseguente decadimento della qualità dei tessuti
  • Quando il paziente rifiuta di essere sottoposto ad un altro intervento
Resazione padiglione auricolare

Resezione padiglione auricolare

1. Rilevamento dell’impronta:

L’impronta è il calco che riproduce la breccia operatoria che si vuole richiudere e viene realizzata con silicone medicale semi-fluido che a temperatura ambiente viene cosparso sul quadrante operatorio ed anche sulle zone limitrofe e controlaterali. Una volta solidificata, l’impronta è utilizzata come matrice per ottenere un modello in gesso per la fase successiva della lavorazione. Nei casi in cui l’impronta comprenda tutto il volto, la respirazione del paziente viene assicurata mediante un tubicino posizionato nel naso o nella bocca.

2. Modellamento in cera della base rigida:

Una volta ottenuto il modello in gesso si realizza una base rigida in resina acrilica che viene provata sul paziente e modificata con modellamento di aggiunte in cera, in modo tale da avere la possibilità di variare la forma un numero indefinito di volte. Nei casi di Exentaratio Orbitae, questa è la fase in cui viene collocata nella rima palpebrale la protesi oculare precedentemente realizzata. Vengono poi praticate tutte le caratterizzazioni superficiali necessarie come rughe, pliche cutanee, nei, eccetera.

3. Modello in silicone e pigmentazione di base:

Il modello in resina rigida definitivo è collocato nello stampo dove viene colato il gesso che una volta indurito viene riempito con silicone medicale per epitesi ed inserito in una muffola (contenitore metallico a pressione), poi collocato nel forno polimerizzatore. Terminata la polimerizzazione a caldo il modello in silicone viene rifinito e pigmentato. La pigmentazione dell’epitesi è eseguita sia per la resina che per il silicone con colori specifici ed una volta ottenuto l’effetto desiderato, l’epitesi viene provata nuovamente sul paziente per controllare che nel processo termico il materiale non abbia subito alterazioni. Durante questa fase vengono applicate le vene in seta che sono integrate nello stesso materiale siliconico.

4. Pigmentazione di superficie:

Questa fase viene eseguita direttamente sul paziente perché consiste nella realizzazione di tutte le caratteristiche superficiali della pelle (nei, macchie, capillari). Quando la pigmentazione è terminata occorre posizionare uno strato di silicone medicale trasparente per proteggere il pigmento dagli agenti esterni e dall’acqua. Terminata questa operazione, sulla protesi oculare vengono applicate le ciglia.

5. Applicazione dell’epitesi sul paziente:

Esistono diversi sistemi di aggancio o fissaggio dell’epitesi alla breccia operatoria e in genere sono scelti in base alle caratteristiche dei tessuti interni e circostanti il quadrante interessato.

Sistemi di fissaggio:

  • Mastice medicale biocompatibile: di gran lunga il più utilizzato, è il più semplice, meno costoso e meglio accettato dal paziente che può applicare e rimuovere l’epitesi con grande facilità. Questo metodo è di per sé inerte, non provoca alcuna complicanza di tipo infettivo o degenerativo e può essere applicato senza alcuna controindicazione.
  • Aggancio meccanico: l’aggancio ad un occhiale usato come supporto è stata la prima tecnica di fissaggio utilizzata alcune decine di anni fa. Attualmente è impiegata solo nei rari casi in cui non è possibile utilizzare l’adesivo medicale o gli impianti osteo-integrati.
  • Aggancio diretto: l’aggancio dell’epitesi alla breccia operatoria in prossimità di eventuali sottosquadri è una soluzione meccanicamente funzionale ma raramente praticabile perché difficilmente è possibile disporre di strutture tissutali adeguate per dimensioni e qualità meccaniche.
  • Fissaggio con impianti osteointegrati: è una tecnica chirurgica che comporta l’inserimento di impianti a vite in titanio (fixtures) che devono essere applicati dal chirurgo maxillo-facciale, sui quali viene applicata l’epitesi munita dei relativi riscontri. Il vantaggio principale di questo metodo consiste nella possibilità di garantire una soluzione soddisfacente sul piano estetico mediante una tecnica chirurgica però non sempre semplice. Le controindicazioni sono la necessità di un’adeguata quantità e consistenza ossea tale da permettere l’ancoraggio degli impianti ed anche la sua applicazione che è limitata solo al ripristino di deficit soprattutto estetici e non funzionali. Le complicanze principali possono essere una mancata osteointegrazione dell’impianto, il continuo distacco della protesi e le infezioni perimplantari, soprattutto in presenza di pazienti molto anziani, defedati o non in grado di provvedere ad un’igiene sufficiente delle ferite prima e dopo la guarigione chirurgica.

DALPASSO S.r.l. realizza epitesi facciali dal 1958 e da allora dedica risorse ed investe nella ricerca di nuovi materiali e nello sviluppo di nuove tecniche di polimerizzazione ed applicazione sul paziente.

DALPASSO S.r.l. da sempre destina risorse nella formazione del personale, nella partecipazione a corsi di aggiornamento medico e svolge studi scientifici in collaborazione con le principali cliniche Maxillo-facciali, Otorinolaringoiatriche e di Chirurgia plastica.

Minerva Chirurgica del 1967 con uno studio del nostro fondatore Curzio Dalpasso e del prof. Francesconi sulle epitesi ricostruttive nei casi di neoplasia

Minerva Chirurgica del 1967 con uno studio del nostro fondatore Curzio Dalpasso sulle epitesi ricostruttive nei casi di neoplasia