Chirurgia e Terapie

Dizionario: Chirurgia e Terapie

Alcolizzazione

Alcolizzazione

Terapia che consiste nell’iniezione retrobulbare di una soluzione di lidocaina 2% seguita da un’altra di alcool assoluto 2 ml. per inibire l’attività della branca oftalmica del 5° nervo cranico (trigemino) e sedare il dolore orbitale e nei bulbi ciechi non in quiete (spesso difficile da trattare) a volte causa di intolleranza all’applicazione di un guscio cosmetico di ricoprimento.

Quando il dolore endobulbare è resistente a qualsiasi terapia medica anche topica ed aumenta con l’applicazione di una protesi a guscio, è preferibile ricorrere a questa procedura che spesso consente una buona tollerabilità protesica senza ricorrere ad un intervento di enucleazione o eviscerazione.

Affondamento fornice

Approfondimento dei fornici

Intervento praticato nella cavità anoftalmica contratta per ripristinare la capacità contenitiva di fornici non sufficientemente ampi per il contenimento della protesi. Di solito è il fornice inferiore a contrarsi per primo mentre quello superiore è meno soggetto a contrazione. La procedura è possibile se la congiuntiva è ancora elastica e la quantità di tessuto è sufficiente, diversamente il fornice inferiore viene riformato con un innesto di mucosa buccale.

Subito dopo l’intervento e durante tutta la fase cicatriziale è necessario posizionare un conformatore acrilico per evitare che i due lembi appena separati si ricongiungano.

Blefaroplastica

Blefaroplastica

Chirurgia delle palpebre che prevede la rimozione di cute, muscoli e grasso in varie proporzioni allo scopo di migliorare esteticamente la palpebra, correggendo l’eccesso di cute nel tessuto palpebrale o la deiscenza del setto orbitario e la protrusione del grasso orbitario negli spazi palpebrali.

 

Con la blefaroplastica è possibile anche effettuare una correzione dello sguardo attraverso il riposizionamento del canto palpebrale tramite cantoplastica e cantopessi.

La blefaroplastica, oltre che per fini estetici, è utilizzata anche per ricostruire le palpebre tramite lembi cutanei, nei casi in cui parti di esse siano rimaste danneggiate in seguito a traumi o escissioni dovute alla rimozione di tumori o cisti ed è la chirurgia di elezione per la correzione della ptosi della palpebra superiore.

 

Le principali patologie e difetti morfologici correggibili con la blefaroplastica sono:

 

  • Blefaroptosi
  • Ectropion
  • Cheratocongiuntivite
  • Dermatocalasi
  • Lassità orizzontale
  • Approfondimento dei fornici
  • Epifora cronica

Brachiterapia

Vedi « Radioterapia »

Bozza filtrante

Bozza filtrante

E’ una valvola creata appositamente durante l’intervento di trabeculectomia per drenare l’umore acqueo che in questo modo si accumula sotto la congiuntiva prima di diffondersi all’indietro.

Si presenta come una « bozza », un rigonfiamento visibile ad occhio nudo ed è ottenuta asportando un pezzetto di tessuto per ottenere un canale che fa fuoriuscire il liquido dall’angolo di scarico in uno spazio interno alla parete oculare.

NYEE

Cantoplastica e Cantopessi

Chirurgia ricostruttiva oculopalpebrale di rinforzo utilizzata anche nella blefaroplastica. La blefaroplastica inferiore espone al rischio di alcune complicanze l’occhio rotondo, l’ectropion, la cheratocongiuntivite, l’epifora e l’ulcera corneale. In questi casi è necessario ricorrere a tecniche chirurgiche di rinforzo della palpebra inferiore che agiscono sul canto laterale.

 

La cantoplastica e la cantopessi infatti rinforzano la connessione tarso-muscolo orbicolare-tubercolo orbitario, in modo da creare la giusta tensione che prevenga le complicanze suddette. La connessione tarso-muscolo orbicolare-tubercolo orbitario, infatti, è deputata a funzioni palpebrali primarie quali:

 

  • chiusura e protezione del bulbo
  • distribuzione del film lacrimale
  • pressione sul sacco lacrimale per consentire il deflusso delle lacrime nel dotto naso-lacrimale.

 

La cantopessi perciò rinforza il tendine laterale del muscolo orbicolare per mezzo di una sutura che accorcia ed eleva il tendine stesso fornendo così una tensione minima alla struttura di aggancio.

 

Nel caso di ipotonia della palpebra inferiore è necessaria invece la cantoplastica con la quale il tendine laterale del muscolo orbicolare viene staccato dal tubercolo orbitario, accorciato e riposizionato con una maggior tensione.

Cantotomia

Cantotomia

Incisione orizzontale di separazione della palpebra inferiore da quella superiore utilizzata nella blefaroplastica per correggere difetti di posizionamento palpebrali come l’entropion o nella chiusura di lacerazioni palpebrali o resezione di neoplasie.

Cerchiaggio

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Cerchiaggio (chirurgia episclerale)

E’ una procedura chirurgica che consiste nel fissaggio di una banda solida in silicone posta intorno alla circonferenza oculare, al fine di riparare un distacco di retina. Tramite il cerchiaggio la sclera è quindi avvicinata nuovamente alla retina, riparando il distacco. La chirurgia episclerale del distacco di retina che agisce lavorando sulla sclera e si contrappone alla vitrectomia, che si esegue invece all’interno dell’occhio. In alcuni casi le due procedure possano essere combinate.

 

Per posizionare il cerchiaggio occorre esporre la sclera aprendo la congiuntiva, isolare i muscoli oculomotori e fissare la banda circolare in silicone intorno all’occhio, totalmente o in parte. Per mantenere il cerchiaggio in posizione e in tensione sono praticate delle suture.

 

Il cerchiaggio però non è quasi mai sufficiente per chiudere da solo le rotture retiniche ma è necessario « piombare » il bulbo, cioè fissare altri pezzi di silicone che apposti proprio in corrispondenza dei fori retinici ne determinino la chiusura, contrapponendosi alla trazione esercitata dal vitreo.

 

Le rotture non più sottoposte a trazione consentono alla retina di riposizionarsi.  Per evitare la loro riapertura sono ulteriormente trattate con la criocoagulazione, in modo da creare una cicatrice saldante tra la retina e gli strati sottostanti.

 

Per facilitare il riassorbimento del liquido sottoretinico è possibile praticare un drenaggio evacuativo per mezzo del quale il fluido è drenato fuori dal bulbo attraverso un microforo sula parete oculare esterna. Al termine può essere praticata una bozza filtrante, cioè una bolla d’aria o di gas che manterrà la rottura libera dal contatto con l’acqua per il tempo necessario alla sua chiusura.

 

La probabilità di successo della chirurgia episclerale nel distacco retinico è intorno all’80-90%. Il cerchiaggio è la chirurgia ideale nel paziente giovane, in chi non è stato ancora sottoposto a chirurgia della cataratta e in quello con distacco di retina medio – facile. Situazioni piu’ complesse sono oggi meglio risolte con la vitrectomia.

 

La chirurgia episclerale presenta però svariati vantaggi rispetto alla vitrectomia, è meno invasiva, non è causa di cataratta secondaria ed è meno costosa, tuttavia è sicuramente più difficile e più lunga. I rischi specifici di questa procedura, oltre alla possibilità d’insuccesso chirurgico con persistenza del distacco retinico, sono rappresentati dalla diplopia per lesione dei muscoli oculari, dall’incarceramento della retina a causa di un drenaggio evacuativo inaccurato e dai problemi retinici legati al mal posizionamento del cerchiaggio.

Cheratoplastica

Cheratoplastica (trapianto di cornea)

Intervento che consiste nella sostituzione della cornea divenuta opaca con una cornea prelevata da un donatore. Si ricorre al trapianto quando le terapie a base di farmaci sono divenute inefficaci o quando la cornea rischia una rottura spontanea, perciò in caso di cheratocono, ferita perforante, ulcera corneale profonda o ancora in caso di causticazioni, ustioni o leucomi corneali anche associati alla formazione di neovasi che rendono la cornea stessa opaca e non più utilizzabile per la visione.

 

La condizione necessaria per effettuare il trapianto di cornea è l’assoluta certezza di avere l’occhio in quiete: l’eventuale processo infettivo e infiammatorio deve essere esaurito. Il trapianto può consistere nella sostituzione della porzione opacizzata di cornea in tutto il suo spessore (cheratoplastica perforante) o solo di alcuni strati (cheratoplastica lamellare). Oggi si cerca di ricorrere il più possibile al trapianto parziale della cornea per la maggiore velocità di ripresa postoperatoria e per la minore invasività dell’intervento.

 

La cornea non è vascolarizzata, per cui non essendo presenti vasi o connessioni linfatiche da ripristinare tra l’organismo e la cornea trapiantata, esiste un minore rischio di rigetto ed un’elevata compatibilità tra i vari donatori ed i riceventi. Il trapianto ha probabilità di successo molto elevate soprattutto nel cheratocono e nelle patologie che non presentano una neovascolarizzazione corneale.

 

Le complicazioni, che comunque possono presentarsi, vanno dal rigetto a quelle di origine traumatica (separazione del lembo innestato)  alle infezioni (si può riaprire la breccia chirurgica) ai problemi refrattivi come l’astigmatismo residuo.

Ciclofotocoagulazione

Ciclofotocoagulazione

La Ciclofotocoagulazione transclerale a contatto è una procedura utilizzata per ridurre la pressione endoculare in alcuni tipi di glaucoma refrattario in cui la pressione stessa non può essere controllata mediante terapia medica, iridotomia, laser trabeculoplastica e chirurgia incisionale ed inclusi i casi in cui la terapia laser o chirurgica non può essere eseguita.

 

Con questa terapia l’energia luminosa viene trasmessa direttamente al bulbo oculare tramite una fibra ottica che viene posizionata a contatto con la superficie oculare. La tecnica a contatto possiede numerosi vantaggi tra cui la ridotta dispersione di luce e in questo modo permette l’utilizzo di dosi di energie significativamente minori. L’utilizzo di apposite sonde manuali aumenta la precisione del trattamento evitando anche i movimenti oculari. In caso di paziente non collaborante può essere effettuata in anestesia generale.

Ciclocrioterapia del corpo ciliare

Criocoagulazione dei corpi ciliari

Procedura che utilizza temperature fino a -80 ° C per agire sul corpo ciliare e permettere di ridurre la pressione endoculare nel glaucoma refrattario. Viene anche usato per ridurre il dolore in alcuni pazienti con glaucoma neovascolare o allo stadio terminale.

Quando alcune tecniche come la chirurgia filtrante sono controindicate o altre procedure mediche e chirurgiche non hanno avuto successo si ricorre alla CCT, soprattutto nei pazienti con glaucoma neovascolare e glaucoma congenito.

 

A causa dei rischi connessi la CCT non deve essere eseguita su pazienti che hanno il potenziale per una buona visione o su individui che hanno subito chirurgia della cataratta con impianto di lente intraoculare. La CCT è una tecnica di ultima istanza impiegati su pazienti per i quali tutte le altre strategie hanno fallito.

Cuneo sottoperiosteo

 

Vedi « Impianto »

Dacriocistorinostomia

Dacriocistorinostomia

Procedura consente la riapertura dei dotti lacrimali che presentano un’ostruzione di entità tale da non poter essere ricanalizzati con metodi incruenti. Si crea perciò un bypass fra congiuntiva e narice, ottenendo così anche la riduzione o l’eliminazione di infiammazione e lacrimazione.

 

Dopo aver asportato una piccola lamina ossea, si produce una piccola apertura cutanea fra l’angolo interno della rima palpebrale e l’ala del naso. Spesso viene inserito un tubicino di silicone che garantisce la pervietà della nuova via nei primi mesi.

 

Recentemente sono state messe a punto tecniche alternative alla DCR ab externo, come l’accesso endonasale e quello per via endocanalicolare ma la tecnica ab externo è ancora la più indicata perché il bulbo non viene coinvolto e non corre rischi particolari e la riuscita dell’intervento è del 90-95%.

 

Come tutti gli interventi chirurgici, anche la DCR prevede la possibilità di complicanze, anche se rare: intraoperatoriamente sono possibili fatti emorragici legati alla fitta rete vascolare della sede operatoria, alterazioni delle cellule etmoidali e fatti più rari come la lesione dell’inserzione del muscolo piccolo obliquo o la fuoriuscita di liquido cerebrospinale.

 

Postoperatoriamente sono possibili nei primi giorni solo piccole emorragie nasali e per quanto la sutura cutanea venga molto curata, esiste la possibilità di una cicatrice ipertrofica a corda d’arco (pseudoepicanto).

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Decompressione orbitaria

Procedura utilizzata nei casi di esoftalmo grave con rischio di cheratite da esposizione (ad es. nel morbo di Basedow) che ha lo scopo di ottenere un aumento del volume orbitario attraverso la decompressione dello spazio adiacente e la correzione della disfunzione dei muscoli oculari e della posizione delle palpebre. Le ossa che costituiscono le quattro pareti dell’orbita non consen­tono alcuna espansione in risposta all’aumento del volume del contenuto obitario ad eccezione dello spostamento in avanti.

 

Oltre un certo grado di proptosi, lo spostamento in avanti del bulbo oculare viene limitato dalla presenza del setto orbitario e dall’azione di agganciamento da parte dei muscoli oculomotori. Le indicazioni per la decompressione orbitaria sono: neuropatia ottica rapidamente progressiva, grave infiammazione orbitaria o dolore, eccessiva proptosi con cheratopatia da esposizione, dipendenza da steroidi e correzione del danno estetico.

 

La decompressione orbitaria può essere eseguita o riducendo il volume del contenuto orbitario (decompressione grassosa) che comunque è utilizzata raramente e solo per esoftalmi molto modesti oppure aumentando il volume del contenitore orbitario eseguendo la decompressione di una, due o tre pareti ossee a seconda della necessità. La decompressione ossea può quindi essere eseguita per via esterna o se l’esoftalmo è di notevole entità, per via endoscopica con asportazione della sola parete mediale o della parete mediale e inferiore dell’orbita.

 

La riduzione della proptosi è proporzionale al numero di pareti che vengono decompresse. Nei pazienti con neuropatia ottica è necessario intervenire sulla parete superiore e su quella mediale per ottenere un’adeguata decompressione dell’apice orbitario. La disfunzione dei muscoli oculari peggiora dopo intervento di decompressione, quindi se entrambi gli interventi sono necessari, occorre procedere prima alla decompressione orbitaria e poi intervenire chirurgicamente sui muscoli.

Dermograsso

 

Vedi « Innesto ».

Resezione muscoli extraoculari

Resezione muscoli extraoculari


Escissione nervo ottico

Escissione nervo ottico


Peritomia capsula di Tenone

Peritomia capsula di Tenone

Enucleazione (Exenteratio bulbi)

Intervento che consiste nella rimozione totale del bulbo oculare e di parte del nervo ottico. Le cause principali dell’enucleazione possono essere un occhio cieco e dolente (ad esempio in seguito a glaucoma acuto), tumori maligni o gravi traumi con nessuna possibilità di recupero visivo oppure quando un occhio traumatizzato mette in pericolo l’occhio sano a causa di una oftalmia simpatica.

 

Al termine dell’intervento può essere inserito nella cavità anoftalmica un impianto per la mobilità
(endoprotesi). Questo impianto può essere un innesto prelevato sul paziente durante l’operazione stessa (innesto autologo dermo-adiposo o con fascia lata) o essere costituito da un biomateriale inerte. I muscoli che assicurano i movimenti oculari sono nella maggior parte dei casi fissati su questo impianto in modo da assicurarne la mobilità. Per garantire che questo fissaggio rimanga stabile è a volte necessario prelevare un innesto di tessuto (autologo o eterologo) per ricoprire l’impianto. Il tessuto che ricopre l’occhio (capsula di Tenone e congiuntiva) sono poi suturati sull’impianto per chiudere la breccia operatoria.

 

Ad intervento concluso è spesso consigliabile l’applicazione di un conformatore acrilico da non rimuovere per tutta la fase della cicatrizzazione per mantenere la corretta funzionalità palpebrale, evitare esiti cicatriziali o aderenze a livello dei fornici e contrastare la sindrome della cavità anoftalmica. L’anestesia più frequentemente usata è quella generale ma si può prevedere l’anestesia locale unita alla sedazione in caso di controindicazioni. Nel decorso postoperatorio per almeno tre o quattro giorni edema grave delle palpebre e dolori orbitari sono da considerare normali.

 

 

La prima protesi oculare provvisoria può essere applicata già dopo due settimane dall’intervento. Attese superiori non creano alcun problema a condizione che il volume della cavità anoftalmica sia preservato con l’applicazione di un conformatore acrilico, diversamente già dopo poche settimane la retrazione della cavità, del sacco congiuntivale e dei fornici può compromettere seriamente l’applicazione della protesi estetica.

 

Complicanze:

 

  • Esposizione dell’impianto ed estrusione
  • Migrazione dell’impianto
  • Cisti subcongiuntivale
  • Enoftalmo accentuato (solco tarsale superiore)
  • Pseudoptosi della palpebra superiore

Eviscerazione02   Eviscerazione05

Eviscerazione (Evisceratio bulbi)

Intervento meno demolitivo e psicologicamente più accettabile dell’enucleazione che consiste nello svuotamento del bulbo dal contenuto endoculare, mantenendo intatta l’anatomia orbitaria e preservando il guscio sclerale integro con i muscoli extraoculari, il nervo ottico e gran parte del tessuto connettivale.

 

Dopo lo svuotamento del contenuto del bulbo rimane solo il guscio sclerale dentro il quale può essere posizionato un impianto in silicone o idrossiapatite per trasmettere il movimento alla protesi estetica e mantenere un volume nella cavità. Anche in assenza dell’impianto la sclera può essere suturata a borsa di tabacco e trasmettere comunque un movimento residuo che è sempre superiore a quello ottenibile con l’enucleazione.

 

Con l’eviscerazione il paziente subisce un trauma decisamente inferiore di quello dell’enucleazione ed anche il risultato estetico ed il movimento della protesi estetica sono migliori. In taluni casi è addirittura possibile non asportare la cornea che rimane così vitale e sensibile. Di ciò dovrà tenere conto il protesista applicando non una semplice protesi sottile ma una protesi a guscio con la superficie interna a doppia curvatura per evitare il contatto di essa sulla cornea che ne pregiudicherebbe la tollerabilità.

 

Esistono controversie circa le indicazioni per l’eviscerazione poiché alcuni chirurghi pensano che ci sia una più alta incidenza di oftalmia simpatica rispetto all’enucleazione. E’ la complicanza più temuta dopo l’intervento ma si quando si asporta la gran parte se non tutto il tessuto uveale questa è fortunatamente molto rara. L’eviscerazione è preferibile se il bulbo non ha una storia di precedenti patologie oppure nei casi di endoftalmite, potendo mantenere la barriera sclerale contro u’estensione extraoculare dell’infezione. Inoltre, poiché il nervo ottico non viene reciso, non si ha diretto accesso degli agenti infettivi nello spazio subaracnoideo.

 

Il limite dell’eviscerazione è perciò nel suo ridotto campo di applicazione: è sconsigliato nei casi di bulbi settici e anche nelle neoplasie, dove il rischio di infiltrazione neoplastica della sclera sconsiglia questa soluzione chirurgica.

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Exenteratio orbitae

Exenteratio orbitae

Exenteratio orbitae

Costituisce l’intervento più demolitivo nella chirurgia della regione orbitaria, in quanto determina una grave mutilazione con implicazioni nella vita di relazione del paziente che si può riflettere sul suo equilibrio psichico.

 

L’intervento trova una precisa indicazione oltre che nella patologia neoplastica invasiva da sarcomi del globo oculare, melanomi della congiuntiva, melanomi non capsulati della coroide, carcinomi primitivi della ghiandola lacrimale e dei seni paranasali, metastasi endorbitarie e anche nella invasione del bulbo da tumori a partenza palpebrale.

 

L’osservazione clinica di un epitelioma basocellulare della palpebre che ha raggiunto un notevole grado di invasività a carico delle strutture palpebrali e del grasso endorbitario e che ha guadagnato la congiuntiva del fornice quella bulbare o perfino la periorbita, rappresenta un’evenienza piuttosto rara. Si può trattare di tumori primitivi, ma più frequentemente localizzati al canto interno ed alla palpebra inferiore e seppure con minore frequenza, al canto esterno. L’exenteratio orbitae è indicata anche nei tumori recidivi a terapia radiante con invasività a carico del grasso orbitario, dei tessuti molli e dell’orbita ossea.

 

La metodica dell’intervento prevede l’incisione cutanea, che deve sempre essere effettuata a distanza di sicurezza dai limiti macroscopici della neoplasia e condotta in profondità fino ai tessuti molli ed al periostio del contorno orbitario. i recidono quindi i legamenti cantali mediale e laterale e successivamente viene scollata la periorbita. A questo punto si può rimuovere il globo oculare. Nell’eventualità dell’interessamento del tetto dell’orbita, l’accesso più idoneo è quello per via endocranica. La cavità orbitaria residua alla exenteratio può essere lasciata cruenta per attendere l’epidermizzazione o può essere riparata con una delle tante metodiche semplici o complesse descritte, in dipendenza del grado di infiltrazione del tumore, del gradimento del paziente e delle sue condizioni generali.

 

E’ un intervento ampiamente demolitivo che può rendere necessaria l’applicazione di un’epitesi ricostruttiva, pregiudicando in modo pesante l’aspetto estetico del paziente che non può essere protesizzato con un impianto mobile, essendo stati asportate le palpebre e tutti i muscoli ed i tessuti della cavità.

Fascia lata

Vedi « Innesto »

Fibrovascolarizzazione

Fibrovascolarizzazione (colonizzazione fibrovascolare)

Processo di integrazione dei tessuti dell’organismo con un materiale biocompatibile posto per molto tempo a loro contatto che consiste nella proliferazione di neovasi e fibroblasti che dai tessuti penetrano nel materiale estraneo.

Gli impianti in Idrossiapatite e politilene poroso impiantati da molto tempo (compresi quelli rimossi per essere sostituiti da un impianto secondario) sono spesso vascolarizzati fino al nucleo. La presenza della sclera non impedisce la vascolarizzazione degli impianti utilizzati, ad es. nell’eviscerazione.

Impianto generico

Enucleazione complicanze

Impianto (Endoprotesi)

Congegno posizionato dal chirurgo entro la capsula di Tenone (enucleazione) o dentro la sclera del paziente (eviscerazione) od anche dentro una sclera di donatore. Trasmette il movimento alla protesi oculare e consente anche il riempimento della cavità anoftalmica che ha perduto i volumi del bulbo e del contenuto endorbitario. E’ realizzato in materiale biocompatibile ed inerte (che cioè a contatto con i tessuti umani non provoca reazioni allergiche, fenomeni di sensibilizzazione, intollerabilità o addirittura rigetto ma è ben tollerato e non varia la sua struttura chimico-fisica) oppure autogeno (cioè prelevato dallo stesso organismo su cui sarà impiantato).

 

I materiali maggiormente utilizzati sono:

 

  • Idrossiapatite (naturale o Bioceramica)
  • Silicone
  • PMMA
  • Polietilene
  • Medpor

 

In passato ed anche in casi particolari sono stati utilizzati impianti in oro, titanio ed altre leghe metalliche biocompatibili.

 

Dal punto di vista temporale il posizionamento dell’impianto può essere primario (contestuale all’intervento demolitivo del bulbo) oppure secondario (dopo l’intervento demolitivo, allo scopo di riempire la cavità rimasta vuota o correggere il deficit di movimento). Oltre agli impianti per la motilità della protesi oculare ne esistono altri per la ricostruzione di fratture orbitali (ad es. le cosiddette « blow-out » del pavimento dell’orbita).

 

L’impianto può essere posizionato libero oppure può essere effettuato un ricoprimento con materiale autologo, sintetico o eterologo (da donatore). Il materiale da ricoprimento costituisce una superficie su cui suturare i muscoli extraoculari e nello stesso tempo facilita l’inserimento dell’impianto poiché riduce l’attrito sui tessuti molli della cavità. Il ricoprimento costituisce anche una barriera protettiva tra l’impianto e la congiuntiva in gradi di ridurre il rischio di erosione della mucosa. Secondo studi clinici però, il materiale di ricoprimento dell’impianto in alcuni casi impedirebbe la vascolarizzazioni degli impianti porosi al punto che per evitare questa complicanza vengono create apposite fenestrature nell’impianto stesso. I materiali più utilizzati per il ricoprimento sono:

 

  • Acido poliglicolico (Vycril, Dexon)
  • e-PTFE (Gore-tex)
  • Pericardio bovino
  • Dura madre liofilizzata
  • Sclera di donatore

 

Complicanze (vedi immagini a lato):

 

A: Esposizione impianto in idrossiapatite con perno 2 anni dopo l’enucleazione
B: Cisti subcongiuntivale 5 anni dopo l’enucleazione
C: Esposizione periferica impianto in idrossiapatite con perno 3 anni dopo l’enucleazione
D: Estrusione di impianto infetto post-eviscerazione
E: Rimozione impianto esposto per infezione da streptococco

Enucleazione06

Impianto secondario

Quando la cavità anoftalmica ha subito una semplice enucleazione senza impianto primario o con un impianto inadeguato o quando un impianto viene espulso, occorre inserire un impianto secondario per dare motilità alla protesi e per riempire correttamente la cavità stessa.

E’ possibile inserire un impianto nel cono muscolare ed abbinarlo ad un impianto sottoperiosteo nel pavimento dell’orbita per innalzarlo ulteriormente. L’impianto secondario è utile anche quando il paziente porta una protesi soddisfacente ma presenta i sintomi della sindrome della cavità vuota. Nel caso in cui i fornici siano poco profondi è preferibile un innesto dermoadiposo ad un impianto sferico nel cono muscolare che potrebbe ridurre ulteriormente i fornici stessi.

La difficoltà frequente nel posizionamento dell’impianto secondario è la scarsa accessibilità alle strutture oculari (muscoli estrinseci, capsula di Tenone, congiuntiva) che spesso sono adese l’una con l’altra in seguito ai pregressi processi cicatriziali.

Fascia Lata

Innesto Membrana amniotica

Innesto Membrana amniotica

Trasposizione lembo frontale sec. Fricke

Trasposizione lembo frontale sec. Fricke

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Innesto

Gli innesti sono prelievi di materiale autologo o sintetico che vengono apposti nella sede chirurgica di una intervento di ristruzione orbitaria, palpebrale o della cavità anoftalmica. Un innesto per definizione è sprovvisto di vascolarizzazione sanguigna e linfatica e di una innervazione autonome. Il processo di ripristino neurovascolare dell’innesto nell’area ricevente è definito attecchimento. Le condizioni indispensabili ai fini di un attecchimento dell’innesto sono:

1. Area ricevente ben vascolarizzata (deve essere in grado di produrre neoformazioni vascolari)
2. Massima aderenza tra innesto ed area ricevente (non si devono formare ematomi o sieromi tra le due superfici)
3. Accurata immobilizzazione dell’innesto (qualunque movimento impedirebbe la sua rivascolarizzazione).

Una volta trasferito l’innesto nell’area ricevente, è necessario effettuare una medicazione compressiva (ad es. con garze o spugne fissate con fili di sutura) con l’obbiettivo di mantenere l’innesto adeso ed immobilizzato al fondo dell’area ricevente per il periodo necessario al suo attecchimento.  I tipi di innesto più utilizzati sono:

 

Dermograsso (dermoadiposo): innesto consigliato nei casi di grave enoftalmo per la sindrome della cavità vuota. Il materiale dermoadiposo è di norma prelevato dalla regione addominale o dal gluteo o dalla parte laterale della coscia dello stesso paziente (quest’ultima particolarmente indicata se si intende prelevare anche fascia lata) ed inserito nella cavità anoftalmica con il derma rivolto all’esterno ed il grasso verso l’interno dopodiché i quattro muscoli retti vengono suturati in modo da trasmettere il movimento all’innesto. Il limite principale di questo impianto sta nella riduzione del suo volume nei primi 6 – 12 mesi a causa dell’assorbimento fisiologico. L’assorbimento è maggiore se l’impianto è posizionato secondariamente. L’innesto dermoadiposo è preferibile quando i fornici sono poco profondi o quando si è verificata più di una espulsione dell’impianto dall’orbita con conseguenti problemi di tenuta dei tessuti.

 

Osseo: Gli innesti ossei vengono generalmente utilizzati per colmare deficit scheletrici come negli esiti di fratture o per fornire un sostegno permanente. Il processo di guarigione di un innesto osseo è lo stesso di una frattura. Le più comuni sedi di prelievo sono la cresta iliaca, la superficie anteromediale della tibia e le coste. Meno comuni come sedi elettive, il tavolato esterno della teca cranica, il radio e la mandibola vengono spesso utilizzati per il prelievo di piccoli innesti ossei. La fibula, un tempo una delle sedi elettive per il prelievo di innesti ossei, viene oggi prevalentemente utilizzata come lembo libero microchirurgico. La dimensione massima oltre la quale un innesto osseo non può attecchire a causa dell’impossibilità da parte del tessuto ricevente a rivascolarizzarlo è di 4-6 cm. Gli innesti ossei omologhi ed eterologhi vengono pretrattati in modo da denaturare le proteine eliminando la conseguente reazione immunitaria. In questo modo gli innesti ossei si comportano come delle strutture in minerali che offrono una guIda alla rigenerazione ossea.

 

Cartilagine: vengono utilizzati per sostituire altre strutture cartilaginee come quelle del naso e dell’orecchio oppure quando si vuole fornire una impalcatura di sostegno rigida ed elastica come in sostituzione della struttura fibrosa tarsale della palpebra. Le sedi donatrici sono il setto nasale, il padiglione auricolare e la cartilagine costale che a differenza delle altre, tende a riprendere la forma originaria curva.

La cartilagine essendo prevalentemente vascolarizzata attraverso il pericondrio, attecchisce e sopravvive più facilmente. Gli innesti cartilaginei possono andare incontro a deformazione nel tempo per cui è fondamentale assicurare una copertura dell’innesto con un tessuto ben vascolarizzato in modo da favorire l’attecchimento e scongiurare il rischio d’infezione.

 

Fascia lata: Gli innesti di fascia trovano indicazione nelle patologie in cui si rende necessario un tessuto autologo dotato di notevole resistenza e pertanto può essere utilizzato per il rinforzo o il sostegno (ad es. nella paralisi del nervo faciale, nelle ptosi) od in sostituzione di strutture lese (ad es. la dura madre). Sede preferenziale è la fascia lata. Il prelievo si esegue praticando n’incisione di circa 10 cm. tra la cresta iliaca e la testa del perone. Un’altra sede di prelievo è la fascia del muscolo temporale.

 

Mucosa: si utilizzano per sopperire a deficit delle superfici mucose. La sede più comune di prelievo è il vestibolo orale. Le fasi dell’attecchimento vanno incontro ad una sensibile retrazione ed è pertanto è necessario effettuare prelievi più estesi della perdita di sostanza da ricoprire.

 

Membrana amniotica: è lo strato più interno della porzione fetale della placenta ed è dotata di cinque proprietà: riepitelizzante, antifibrotica, antiangiogenetica, antinfiammatoria e antimicrobica. La sua applicazione intra-oculare ne prevede l’impiego come:

  • Innesto, con l’epitelio rivolto verso l’alto in modo tale che l’epitelio sia ricoperto da cellule corneali e/o congiuntivali dell’ospite. Può essere impiegato per la ricostruzione della superficie corneale o la ricostruzione della superficie congiuntivale nel caso di ustioni chimiche, pemfigoide, sindrome di Stevens-Johnson, ulcera e cheratopatia bollosa, simblefaron, pterigio e neoplasie corneali.
  • Patch, con l’epitelio rivolto verso il basso in modo tale che lo stroma da un lato intrappoli le cellule flogistiche dell’ospite e dall’altro rilasci alcune delle sostanze responsabili delle sue peculiari proprietà, quando occorre un bendaggio oculare protettivo con attività antinfiammatoria e, quindi, antidolorifica in affezioni acute o croniche.
    E’ utilizzato anche dopo trattamento con laser ad eccimeri al fine di ridurre l’eventuale comparsa di haze o cheratopatia a bandelletta.

Controindicazioni relative possono essere rappresentate da compromissione degli annessi o del film lacrimale. Controindicazioni assolute possono essere rappresentate da ulcera/perforazione corneale con grave infezione in atto oppure ulcera/perforazione con dimensioni oltre i 2-3 cm .

 

Trasposizione di lembo o muscolo: intervento che consiste nel trasferire un tessuto o un insieme di tessuti da una sede donatrice ad una ricevente mantenendo intatta la propria circolazione. Nel caso in cui il lembo venga semplicemente trasferito permane una connessione con la sede del prelievo che viene definita peduncolo ed ha la funzione di assicurare la nutrizione dei tessuti del lembo stesso. Viene di solito richiesto l’uso di un lembo per sopperire a deficit cutanei e dei piani profondi e quando la ricostruzione ha un significato funzionale o estetico.

Nelle ricostruzioni palpebrali sono frequenti la trasposizione/rotazione del lembo zigomatico-temporale, dei lembi frontali (con diverse varianti) e  la trasposizione del muscolo elevatore palpebrale nei casi di ptosi senza funzionalità del muscolo stesso,

Membrana amniotica

Vedi « Innesto ».

Odontocheratoprotesi

Osteo-odonto-cheratoprotesi

E’ una tecnica di cornea artificiale ideata in passato dall’oftalmologo Benedetto Strampelli e perfezionata da Giancarlo Falcinelli e rappresenta l’unica possibilità terapeutica nelle gravi patologie corneali nelle quali non è possibile eseguire un tradizionale trapianto di cornea, né utilizzare le cellule staminali.

L’intervento consiste nel sostituire la cornea opacizzata con un cilindro ottico trasparente di materiale acrilico che viene ancorato alla superficie dell’occhio mediante una radice dentaria e il suo osso limitrofo. La protesi cosi’ ottenuta viene ricoperta con mucosa buccale.

Pur recuperando gran parte della loro capacità visiva nell’80% dei casi, gli occhi operati permangono esteticamente deturpati e devono perciò essere ricoperti da una protesi estetica con forame pupillare aperto.

Placca episclerale

Vedi « Brachiterapia »

Piombaggio sclerale

Vedi « Cerchiaggio »

Placca radioterapia

Radioterapia

Costituisce la principale e più efficace metodica di trattamento dei tumori maligni e benigni dell’occhio. Numerose neoplasie orbitarie sono trattate con radioterapia, come i linfomi orbitari (la più frequente neoplasie orbitaria primitiva dell’adulto) o le metastasi. Anche il retinoblastoma è estremamente sensibile alla radioterapia ma queste trova oggi un impiego più limitato nel tentativo di evitare le complicanze sulle strutture extraoculari in questi pazienti che sono geneticamente suscettibili ad altre neoplasie.

 

La terapia conservativa è prevalentemente effettuata mediante la radioterapia. La radioterapia può essere a contatto (brachiterapia) mediante placche di Rutenio o placche di Iodio ovvero dall’esterno (teleterapia) mediante l’acceleratore di protoni.

 

Nella Brachiterapia la placca, precedentemente caricata con Rutenio 106 o Iodio 125, viene suturata alla sclera in corrispondenza della base del tumore e lasciata in sede per 4-7 giorni, il tempo necessario all’emissione della dose richiesta. Con questa tecnica possono essere trattati melanomi di spessore non superiore ai 9 mm. se caricata con lo Iodio ed ai 5 mm. con il Rutenio.

 

La radioterapia con  protoni prevede invece una prima fase che prevede un intervento per il centraggio della lesione mediante l’applicazione sulla superficie dell’occhio, in corrispondenza dei margini della lesione, di piccoli bottoncini denominati clip di  tantalio. La seconda fase è propriamente quella della terapia e viene svolta in centri specializzati mediante l’acceleratore di protoni. Di norma il trattamento si svolge in due settimane, durante la prima vengono effettuate le simulazioni mentre nella seconda settimana viene effettuato il trattamento in 4 sedute successive.

 

L’impiego di radiazioni per la cura dei tumori oculari può causare a lungo andare fenomeni di retrazione dei tessuti che spesso provocano un notevole deficit sia estetico che funzionale, rendendo particolarmente difficoltosa un’eventuale applicazione protesica.

Anoftalmo

Revisione della Cavità anoftalmica

Complesso di interventi volti a correggere i difetti estetici e funzionali dovuti alla sindrome della cavità vuota oppure in seguito ad una prima chirurgia insoddisfacente o ancora per correggere gli effetti indesiderati della terapia radiante, dell’uso di protesi non idonee o di un grave trauma (cavità contratta). Le procedure chirurgiche tipiche sono: approfondimento dei fornici – impianto secondario – innesto sottoperiosteo o di tessuti molli.

Ricoprimento impianto

Vedi « Impianto »

Sutura corneo sclerale

Sutura corneo-sclerale

Intervento di chiusura del bulbo in seguito ad un grave trauma a bulbo aperto, spesso con perdita di sostanza endobulbare e comunque con compromissione parziale o totale della visione. Dopo l’eventuale rimozione di corpi estranei, la pulizia della ferita e la somministrazione della terapia farmacologica adeguata, la sclera e la cornea vengono suturate.

 

Nei casi di grave traumatologia bulbare, tuttavia, prima di ricorrere alla sutura definitiva di cornea e sclera vengono approntate tutte le procedure possibili per tentare di ripristinare la funzionalità del bulbo, come la cheratoplastica perforante, l’iridoplastica o la vitrectomia con tamponamento per mezzo di olio di silicone.

Sutura borsa di tabacco

Sutura a Borsa di tabacco

È una sutura continua molto usata in chirurgia gastro enterica. I punti vengono dati in modo circolare rispetto alla ferita così che serrando il filo l’orifizio viene chiuso come se fosse appunto una borsa da tabacco.

 

In oftalmologia era molto utilizzata in passato nell’intervento di eviscerazione senza il posizionamento di un impianto nel guscio sclerale: la sclera svuotata veniva suturata su se stessa e ricoperta poi con la congiuntiva fino a formare un piccolo moncone in grado di trasmettere un movimento residuo alla protesi estetica.

Sbrigliamento aderenze

Vedi « Approfondimento fornici »

Tarsorrafia laterale

Tarsorrafia

Intervento con il quale vengono saldati i bordi palpebrali fra di loro, riducendo l’apertura della rima palpebrale. Si pratica in pazienti affetti da lagoftalmo paralitico, esoftalmo di qualsiasi origine, da paralisi di Bell o in tutti quei casi dove è presente un’esposizione cronica o temporanea della cornea. Questo intervento può essere eseguito anche in certi casi di occhio secco dovuti al pemfigoide oculare.

 

In oftalmoplastica la tarsorrafia è utilizzata per correggere le malposizioni palpebrali, le alterazioni della rima palpebrale o difetti di chiusura delle palpebre stesse.

Terapia fotodinamica

Terapia fotodinamica

La terapia Fotodinamica (PDT) è una procedura laser non chirurgica in cui viene utilizzato un mezzo di contrasto (Verteporfina) la cui azione viene ottenuta in due fasi differenti. Nella prima fase viene somministrata per via endovenosa e va ad accumularsi nei neovasi dell’area corio-retinica da trattare. Nella seconda viene applicato un trattamento laser a bassa potenza (incapace perciò di creare danni retinici nell’area trattata) ottenendo l’attivazione della sostanza iniettata che determina una foto trombosi selettiva dei vasi patologici.

 

Questo trattamento, inizialmente introdotto in oftalmologia per la cura della degenerazione maculare senile, è oggi ampiamente utilizzato nel trattamento degli emangiomi coroideali circoscritti e in alcuni casi di metastasi coroideale.

 

Il trattamento dura due minuti circa e si attua con l’ausilio di una lente a contatto previa dilatazione pupillare. Come per tutte le terapie della patologia maculare, non sempre è sufficiente un singolo trattamento per debellare completamente il danno retinico.

Termoterapia transpupillare

Termoterapia transpupillare (TTT)

E’ una tecnica di trattamento di recente introduzione (che sfrutta il principio dell’ipertermia con laser ad infrarosso) che trova indicazione, associata alla chemioterapia, nella cura del retinoblastoma e isolatamente (o associata alla radioterapia con placche espisclerali) in quella di piccoli melanomi della coroide selezionati.

 

E’ anche utilizzata, a basso dosaggio, per trattamento dei neovasi occulti poiché il raggio laser termico porta ad un riscaldamento dei neovasi che riesce a bloccare la loro evoluzione nei pazienti affetti da degenerazione maculare senile.

Trabeculectomia

Trabeculectomia

Intervento chirurgico il cui scopo è quello di arrestare il progredire dei danni oculari provocati dal glaucoma. Trattandosi di un intervento invasivo può essere effettuato solo su pazienti con diagnosi certa di glaucoma che hanno una risposta insoddisfacente alla terapia farmacologica.

 

L’intervento consiste nella formazione di uno sportello sclerale a livello del limbus dopo aver aperto la congiuntiva e la successiva asportazione di un tassello corneo-sclerale limbare profondo comprendente anche una porzione di trabecolato. Segue l’iridectomia che impedisce l’occlusione della fistola e infine la sutura dello sportello sclerale e del piano capsulo-congiuntivale.

 

L’umore acqueo potrà quindi defluire dalla camera anteriore allo spazio sottocongiuntivale attraverso i bordi dello sportello sclerale ed essere riassorbito dal plesso venoso episclerale. La filtrazione dell’umore acqueo darà anche luogo al sollevamento della congiuntiva nella sede chirurgica che prende il nome di « bozza filtrante ».

 

Gli eventuali insuccessi di questo intervento sono legati ad una cicatrizzazione indesiderata che ostacola il deflusso dell’umore acqueo. Per prevenire questo normale processo che si manifesta  più rapidamente nei giovani o nei diabetici, si utilizzano delle sostanze particolari che inibiscono la proliferazione del tessuto cicatriziale (antimetaboliti) o si procura artificialmente un aumento del deflusso innestando una valvola artificiale.

 

Le complicazioni che avvengono dopo l’intervento sono le infezioni, le goniosinechie (anomale dislocazioni dell’umore acqueo appena formato) e l’eccessivo deflusso dell’umore acqueo verso l’esterno che causa un’importante riduzione della pressione intraoculare (ipotono); quest’ultimo è comunque un inconveniente limitato nel tempo e facilmente gestibile.

 

Infine è importante ricordare che talvolta le manovre chirurgiche eseguite possono provocare una cataratta traumatica.

Trasposizione di lembo e muscolo

Vedi « Innesto ».

Vitrectomia01

vitrectomia02

vitrectomia03

Vitrectomia

La vitrectomia consiste nell’asportazione chirurgica di tutto o parte dell’umor vitreo. E’ una delle tecniche di microchirurgia oftalmica più avanzate utilizzata nelle patologie della retina e del vitreo:

 

  • Le complicazioni della retinopatia diabetica proliferante
  • Tutte le forme di opacizzazione del vitreo (emorragie e infiammazioni vitreali, infezioni, aderenze
  • Distacchi di retina con complicazioni
  • Corpi estranei endobulbari
  • Trazioni sulla retina con rischio di distacco o formazione di fori retinici
  • Modificazioni della struttura del vitreo in seguito all’intervento di cataratta che possono provocare aumento della pressione nel centro della retina con conseguente riduzione del visus.

 

L’intervento è effettuato tramite un dispositivo chiamato ‘vitrectomo’, che taglia, aspira e rimuove il vitreo patologico, coadiuvato da una linea di infusione che trasporta una soluzione fisiologica salina, necessaria a sostituire il vitreo mano a mano che questo viene rimosso. Questo strumento è inserito nel bulbo attraverso incisioni praticate all’esterno del bulbo in una zona chiamata « pars-plana ».

 

L’intervento ha durata variabile da 15-20 minuti nei casi semplici a molte ore nei casi più complessi. Terminato l’intervento la soluzione fisiologica viene sostituita con l’umore acqueo, in modo naturale, dall’occhio stesso.

 

L’intervento viene solitamente praticato in anestesia generale ma si sta diffondendo la pratica di operare in day-hospital ed in anestesia locale. Molto spesso l’intervento richiede l’utilizzo contemporaneo di tecniche mirate a risolvere altre patologie concomitanti o a gestire le complicazioni che si possono presentare:

  • Endofotocoagulazione: una sorgente luminosa in fibra ottica consente la distribuzione di un fascio di luce laser focalizzato con sulla superficie retinica che consente si saldare eventuali fori retinici, trattare proliferazioni di neovasi e bloccare emorragie.
  • Iniezione di aria e/o gas: nei casi più comuni di distacco retinico o di fori retinici l’aria o il gas permettono di chiudere i fori e sostenere la retina riposizionata nella propria sede.
  • Iniezione di olio di silicone: in alcuni casi si rende necessario sostenere la retina mediante olio di silicone, una sostanza inerte più efficace dell’aria o del gas che può permanere nel bulbo anche per anni, anche se molti preferiscono asportarla dopo alcuni mesi poiché può dare origine a complicazioni quali l’offuscamento corneale e il glaucoma.
  • Perfluorocarbonato: l’iniezione di perfluorocarbonati liquidi in camera vitrea ha lo scopo di stabilizzare la retina rendendo possibile l’asportazione del vitreo periferico. L’introduzione dei perfluorocarbonati liquidi ha rivoluzionato la chirurgia vitreo-retinica consentendo manovre chirurgiche con una sicurezza prima impensabile. Le caratteristiche più importanti di questi composti sono la tensione superficiale in ambiente acquoso relativamente alta (che garantisce una buona capacità di tamponamento delle rotture retiniche),  la bassa viscosità (permette un’ottima maneggevolezza) e l’elevata densità che consente un migliore appianamento retinico. A causa della loro elevata densità esiste una possibilità teorica che queste sostanze possano generare alterazioni alla retina se lasciate in situ per un lungo periodo di tempo, pertanto devono essere rimosse al termine di ciascuna procedura chirurgica.

 

Complicazioni:

 

  • Distacco di retina durante l’intervento, complicazione curabile nel 90% dei casi ma non si può dire con certezza come rimanga la retina dopo essere stata riattaccata, infatti potrebbero rimanere delle cicatrici, visibili come scotomi fissi nel campo visivo. Questo è il rischio principale dell’intervento di vitrectomia anche se negli ultimi anni la percentuale è stata drasticamente ridotta (nelle vitrectomie per opacità vitreale la percentuale si aggira attorno all’1%). Occorre poi considerare che un fattore di rischio del distacco retinico è la miopia elevata, sopra alle cinque diottrie.
  • Infezione: un caso su 300 circa. In questo caso l’occhio, per un meccanismo ancora poco chiaro, si infetta e nella metà dei casi non reagisce adeguatamente alla terapia antibiotica.
  • Proliferazioni sub-retiniche: quando vengono inseriti gli strumenti per l’intervento, alcuni frammenti di tessuto finiscono sulla retina e danno origine a proliferazione di tessuto e di neovasi che possono portare al sollevamento della retina ed al conseguente distacco.
  • Cataratta: la vitrectomia è l’intervento catarattogeno per eccellenza, predisponendo il bulbo operato allo sviluppo precoce di cataratta a causa di un meccanismo ancora non ben conosciuto, sembra per la microvariazione climatica che consegue alla rimozione del vitreo che provoca un trauma per il cristallino che inizia a sviluppare una cataratta nucleare.
Valvola di Ahmed

Valvola di Ahmed

Valvola di Molteno

Valvola di Molteno

Valvola iStent (dettaglio)

Valvola iStent (dettaglio)


Valvola iStent (funzionamento)

Valvola iStent (funzionamento)

Valvole drenanti

Nel glaucoma avanzato o quando la trabeculectomia fallisce, la terapia più indicata è l’impianto di valvole drenanti. Le più utilizzate sono:

 

  • la valvola di Ahmed da riservarsi a casi particolarmente complessi e refrattari ad altre terapie e viene spesso richiesto nei pazienti con Cornea Artificiale di Boston. Una valvola di Venturi innestata nell’impianto offre una serie di resistenze al flusso dell’umor acqueo, aprendosi solo quando si raggiunge un livello di IOP prefissato e riducendo la possibilità di ipotono post-operatorio, ciò che consente il flusso attraverso l’impianto solo in seguito al rialzo della pressione.
  • lo shunt di Molteno, dotata di un piatto diviso in due camere separate da un setto: l’umore acqueo fuoriesce dalla prima camera e passa nella seconda solo quando si sviluppa una pressione sufficiente a superare le resistenze generate dall’apposizione del tessuto congiuntivale sul setto che separa le due camere.
  • l’impianto di Baerveldt che permette attraverso l’immissione nell’occhio di un tubicino di scarico di mantenere la pressione oculare a livelli accettabili.
  • L’impianto di Krupin, costituito da un piatto e da un tubicino in silicone. Il meccanismo che oppone in questo impianto una certa resistenza al flusso di umore acqueo, è costituito da una “slit valve” all’estremità distale del tubo.
  • La valvola iStent invece è il più piccolo dispositivo medico attualmente disponibile, costituito da un tubo in titanio di 1 mm di lunghezza, che è lo stesso materiale con cui vengono progettate le valvole cardiache, al fine di ridurre al minimo il rischio legato al rigetto. Il grande vantaggio di questo sistema è che viene impiantato direttamente nel canale di drenaggio naturale dell’occhio senza dover praticare, come avviene ad esempio nella trabeculectomia, un tunnel intrasclerale al fine di permettere all’umor acqueo di filtrare attraverso la congiuntiva.

 

La tecnica operatoria per l’inserimento di impianti valvolari è simile per tutti i tipi di impianto. Di solito si preferisce utilizzare il quadrante supero-temporale, tra il muscolo retto superiore e quello laterale, anche se in base alle esigenze del caso, si possono utilizzare anche il quadrante supero-nasale o quelli inferiori.

 

Complicanze:

 

Le complicanze in seguito all’utilizzo di impianti valvolari sono tuttora frequenti, in parte come conseguenza dell’elevata complessità dei casi clinici, spesso refrattari ad altre forme di terapia sia medica che chirurgica e in parte per problematiche relative all’intervento stesso.

 

Riservata in passato a casi molto complessi o sottoposti precedentemente a numerosi interventi, oggi la chirurgia valvolare può essere considerata uno strumento consolidato nella terapia del glaucoma refrattario.